Se mi sgami ti cancello
E torniamo a dare la linea al magico mondo delle favole con la tenerissima storia di Barbablù, l’uomo che puniva con la morte la curiosità delle proprie compagne.
Non è chiaro se per scriverla Charles Perrault abbia preso spunto da qualche mostruoso fatto di cronaca, ma la morale a cui tende è chiara a tuttE: chi si fa gli affari suoi campa cent’anni. Se poi non sei interessata alla longevità, puoi continuare a fare tutte le domande che credi e a cercare le risposte anche nelle stanze dove gli altri non vorrebbero farti entrare.
Chiaramente ti accolli anche le conseguenze, perché comunque sono le stanze loro e se ti fanno (metaforicamente) fuori è una specie di legittima difesa della privacy, divinità alla quale oggi sacrifichiamo innumerevoli clic e spiegoni, spazio siderale in cui si finge un rispetto per l’intimità che poi viene tradita persino se esprimiamo un desiderio nel sonno e sul comodino abbiamo un cellulare.
Il fatto
La storia in breve: quest’uomo, con la barba di un colore oggi ricercatissimo per le ciocche di capelli ma che a quei tempi destava inquietudine anche perché suppongo fosse naturale, aveva un sacco di soldi e aveva fatto fuori sei mogli, tipo Enrico VIII.
La lanugine blu lo rendeva spaventoso, ma dato che era in cerca di compagnia, per convincere una fanciulla a soprassedere sul suo aspetto fisico le aveva fatto presente che con le fortune di cui lui disponeva avrebbe potuto avere tutto: vestiti, borse, viaggi, grandi feste e piccoli ritocchi estetici.
Quella ci era cascata e se lo era sposato (prima o poi capiremo anche le origini del fascino burino di quel potere che viene dai soldi).
La trappolona
Un giorno il tizio dice che deve andare fuori per lavoro, e si raccomanda alla mogliettina:
“Fai come fossi a casa tua, ti lascio le chiavi di tutto. Solo una cosa: non entrare in quella (indica la porta) stanza”.
“Quella? Solo quella? Che ci vuole, non entro”.
Lei ci gira un po' intorno e non riesce a pensare ad altro. Dopo un paio di telefonate di confronto con le amiche e una sigaretta, entra e ci trova i cadaveri delle precedenti mogli. La chiave con cui ha aperto resta macchiata di un sangue che non viene via, così quando Barbablù torna a casa (ammesso che fosse partito e che non stesse in agguato a spiare i movimenti di lei con la telecamera dal cellulare) sa già cosa è successo. Non gli resta (sic) che ammazzare pure ‘sta moglie.
Il movente
Il “movente” di Barbablù somiglia a quello di quel biblico uomo che disse alla donna/costoletta “fai quello che ti pare, ma non mangiare quel (indicò una mela) frutto”. Ovvero: non infrangere le regole solo per assecondare la tua curiosità.
Perché? Nel migliore dei casi, perché un po’ di mistero fa sangue (ops!); nel peggiore, perché se sai troppe cose magari conquisti le chiavi dell’Eden oltre a quelle dell’armadio con gli scheletri.
Eh no, bella, ti piacerebbe.
Io per esempio faccio molte domande, troppe, lo devo ammettere. Mi sono sempre giustificata con la deformazione professionale, ma forse il percorso è contrario: fare la giornalista mi ha autorizzato a porre un sacco di domande e a
verificare anche quello che a volte sarebbe meglio non verificare.
In fondo domandare è lecito, rispondere è cortesia.
Sarà anche il gusto del proibito a farci rischiare di perdere qualcosa che con gli occhi foderati di prosciutto potremmo goderci senza problemi e senza partorire con dolore, ma la domanda è: perché l’uomo che, si sa, è cacciatore, è autorizzato a togliersi ogni dubbio in nome della sperimentazione (anche se nella maggior parte dei casi è sinceramente disinteressato a sapere più di quello che gli occorre per sopravvivere) e nella donna la curiosità è da sempre una qualità valutata in maniera ambigua?
Ah, il sottile confine tra consapevolezza e mania di controllo…
Il finto mistero di Barbablù
Il fascino di una persona, si sa ma non si dice per evitare ritorsioni, è direttamente proporzionale alla quota di mistero che riesce a mantenere. Non parlo di segretezza, ma di quello che resta da scoprire: non dobbiamo avere la sensazione di aver visto tutto quello che c’era da vedere, pena la noia.
Il consumismo dei sentimenti non è nato col capitalismo, e se certe tipologie umane spopolano è perché con la trasparenza non si va lontanissimo. Barbablù lo sa e usa un finto mistero per nascondere una grave colpa, quella di non saper gestire la consapevolezza delle sue compagne.
Lui è di quelli che ti mettono la pulce nell’orecchio e poi si lamentano che non ti
fidi. Vuole testare la fede incondizionata della moglie istigandola a fare quello che magari lei non avrebbe nemmeno pensato di fare: aprire una determinata porta. E le lascia anche la chiave! Se non è provocare questo. Come quelli che, si dice esistano, fanno in modo che il tradimento venga scoperto per essere indotti a confessare.
Per me Barbablù è il classico tipo che non sa stare solo, ma nemmeno in compagnia. Quello che chiede alla sua partner è la stessa cosa che gli darà un buon motivo per farla fuori e poi cercarne immediatamente un’altra.
Il mistero logora chi non ce l'ha, potremmo dire parafrasando quel politico.
Ancora il solito sesso
La storia, spiega Bettelheim, presenta “nella sua forma più estrema il tema che, per dare una prova di fiducia, la donna non deve mettere il naso nei segreti dell’uomo”. La butta esplicitamente sulla tentazione sessuale cui lei cede appena lui esce di casa, sul fatto che il sangue che non viene via dalla chiave è quello della ‘deflorazione’. In pratica Barbablù si comporterebbe come quelli che fino a una manciata di anni fa se la sentivano di chiamare l’uxoricidio un delitto d’onore. Non che Bettelheim lo giustifichi, sia chiaro, ma tratta la questione come un tradimento.
Io non credo. Non si parla di sesso in questa storia, ma di cosa siamo disposti a rischiare per conoscere la verità delle cose. Molto spesso le fiabe parlano di questo: della paura di ascoltare l’istinto e del cambiamento doloroso che ti aspetta se ti decidi a farlo. Dopo di che si presume dovrebbe arrivare una specie di lieto fine.
Sono invece d’accordo con la Estés che scrive: “Barbablù è una delle storie istruttive a mio parere più importanti per le donne giovani, non necessariamente per età ma in qualche parte della mente. È un racconto di ingenuità psichica, ma anche dell’efficace rottura dell’ingiunzione di non “guardare”. Secondo me ha il fine di rimettere in moto la vita interiore. La storia di Barbablù è una medicina particolarmente importante quando la vita intima di una donna è in preda allo spavento, o messa con le spalle al muro. Le soluzioni della storia allentano la paura, producono dosi di adrenalina al momento giusto e, fatto importante per l’ingenuo Sé catturato, aprono porte nel muro chiuso”.
Il Sé-greto
Scrive Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo che: “Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente”.
E questa è una cosa: il mistero che ci accompagna tutti, chi più chi meno consapevolmente. Un mistero, per così dire, autentico.
Ma se il mio compagno esce di casa e mi dice Non aprire quel cassetto (ché qui, di stanze in avanzo, non ne ha nessuno), io penso che 1. è il mio compleanno tra pochi giorni e ci ha nascosto il regalo 2. (passato il compleanno) ci tiene cose che non devo vedere se voglio continuare a pensare che lui sia come ci tiene ad apparirmi. E quindi col cavolo che non apro.
Su Barbablù è stata sollevata anche un'altra questione: e se lui sperava davvero di poter essere diverso con lei e per questo non voleva che la nuova moglie conoscesse i suoi letterali scheletri nell'armadio? Per me, il fatto non sussiste: tu stai cercando di farti chiedere cose, Barba, e allora fai prima a confessare tu, può anche darsi che poi ti do una possibilità. Ma lasciami decidere se voglio rimanere a casetta con un potenziale assassino, grazie!
Tornando alla Estés, il passo successivo all’apertura della porta o all’assaggio del frutto è però “la capacità di sopportare quel che si vede”. Se sì (a costo di lacrime e sudore), possiamo riappropriarci della nostra natura.
Chi la dura la vince.
“Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente”.
F. Dostoevskij